Cronache e Riflessioni di una Giornata Europea della Cultura Ebraica in Italia
September 19, 2025
Squali, miti e vecchi pregiudizi: le meccaniche della disinformazione
| Sull’autrice: Melissa Sonnino lavora per CEJI – A Jewish Contribution to an Inclusive Europe dal 2011. È direttrice della Rete Facing Facts e guida i programmi dell’organizzazione su hate speech e hate crime, creando occasioni di formazione e dialogo tra società civile, autorità pubbliche e istituzioni internazionali. Ha inoltre svolto il ruolo di senior researcher per il progetto NOA in Italia. |
In occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica di quest’anno, dedicata al tema “Il popolo del libro”, ho partecipato a un panel sulla disinformazione organizzato dalla Comunità Ebraica di Livorno all’interno del programma locale di eventi. Sono stata invitata a portare la mia esperienza maturata nel lavoro a stretto contatto con le istituzioni europee, le piattaforme digitali e la società civile sulle tematiche dei discorsoi d’odio, della disinformazione e dei pregiudizi che li alimentano.
A prima vista, la disinformazione[1] può sembrare un argomento distante, forse troppo moderno per essere collegato al tema del “popolo del libro”. Eppure, a ben guardare, la disinformazione non è altro che il lato oscuro della cultura scritta: la manipolazione delle parole, del sapere, delle storie. Sovverte la verità distorcendo proprio gli strumenti che usiamo per cercarla. E qual è il miglior antidoto, allora, se non la lettura, l’approfondimento e il pensiero critico che la tradizione ebraica ha sempre posto al centro?
Per illustrare al pubblico quanto la disinformazione possa essere assurda e al tempo stesso potente, ho condiviso una storia di squali.
Poche settimane prima dell’evento stavo ascoltando uno dei miei giornalisti e podcaster italiani preferiti[2], che raccontava una storia che mi è rimasta impressa. Nel 1989, al largo di Piombino, un sub fu ucciso da uno squalo davanti al figlio e a un collega. Un incidente tragico e scioccante, eppure, solo pochi mesi dopo, iniziarono a diffondersi voci — rilanciate perfino dalla televisione nazionale. Alcuni sostenevano che l’attacco non fosse mai avvenuto e che l’incidente fosse stata una messa in scena per incassare l’assicurazione sulla vita. Altri ipotizzavano un’esplosione e accusavano il sub di praticare pesca di frodo. Per quanto assurdo possa sembrare, la storia fu ripresa e creduta da molti, alimentando sospetti e teorie complottiste. Queste teorie non fecero altro che spostare la paura dallo squalo, placando la “psicosi” giusto in tempo per l’inizio della stagione estiva. Ci vollero anni perché la verità fosse ristabilita e la famiglia della vittima potesse ottenere un senso di giustizia, grazie al lavoro scrupoloso di un giornalista che, giovane cronista all’epoca, ricostruì pazientemente i fatti.[3] È un esempio di come funziona la disinformazione: si nutre della paura e della nostra tendenza umana ad affrontare il panico e l’angoscia cercando un colpevole[4].
La storia ha fatto breccia nel pubblico in sala e nei volti dei partecipanti il concetto di disinformazione è diventato più comprensibile. Storie come questa ci ricordano che la disinformazione non è affatto un fenomeno nuovo. La storia ebraica ne offre prove dolorose. Nel Medioevo, gli ebrei furono accusati di avvelenare i pozzi durante la peste nera o di utilizzare sangue cristiano in rituali religiosi — accuse infondate che si diffusero rapidamente e scatenarono violenze.[5] Secoli dopo, i Protocolli dei Savi di Sion divennero uno dei più famosi esempi di fake news mai creati: un testo fabbricato che pretendeva di rivelare un complotto ebraico per il dominio mondiale. Benché smascherato come falso da oltre un secolo, continua ancora oggi a circolare[6]. E nel nostro tempo la logica è la stessa, semplicemente travestita da abiti moderni: meme e teorie complottiste che suggeriscono che gli ebrei controllino le banche, i media o persino il meteo. E le ultimissime notizie, incredibile a dirsi: a quanto pare gli ebrei sarebbero anche responsabili della morte di Charles Kirk (sic!).[7]
Dalla polarizzazione alla resilienza: spostare lo sguardo per essere parte della soluzione
L’evento si è svolto in una piccola città: Livorno conta circa 153.000 abitanti, ma oggi la sua comunità ebraica conta soltanto 300-400 persone. Il contributo degli ebrei alla città nei secoli è stato immenso. Grazie alle Leggi Livornine[8] della fine del Cinquecento, che garantivano eccezionali libertà e tutele, Livorno divenne un porto fiorente e un centro di commercio, cultura e sapere. In occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica di quest’anno, la comunità ha aperto le porte della sinagoga e del museo e, durante la conferenza, ha presentato con orgoglio un prezioso catalogo di libri antichi, amorevolmente mantenuti e restaurati dai volontari della comunità. Questi volumi sono la prova tangibile di quanto profondamente la vita della città e quella degli ebrei siano state intrecciate nei secoli.
Il pubblico era composto quasi interamente da persone anziane, e quasi tutte facenti parte della comunità ebraica. I partecipanti non ebrei si potevano contare sulle dita di una o due mani. Questo è particolarmente significativo se si considera che la Giornata Europea della Cultura Ebraica è pensata principalmente per un pubblico non ebraico. Purtroppo, le autorità cittadine hanno scelto di non partecipare all’evento. La consapevolezza delle tradizioni e delle storie altrui è la via più semplice per contrastare i pregiudizi inconsci e aprire al dialogo.
Ma ciò che più di tutto mancava erano i giovani. La loro assenza pesa fortemente in un contesto già segnato dal calo demografico. Ci sono ragazzi a Livorno che, molto probabilmente, cresceranno senza mai incontrare di persona un ebreo, conoscendo l’ebraismo solo attraverso i libri di storia o, peggio, tramite stereotipi e miti complottisti incontrati online.
Poi sono arrivate le domande dal pubblico. Qualcuno ha pensato bene di sollevare la questione di Gaza — era davvero opportuno sollevare una simile provocazione in una piccola comunità che aveva appena mostrato, con cura e dedizione, secoli di presenza ebraica locale attraverso la conservazione di migliaia di volumi? E un altro partecipante, forse in modo ancora più doloroso, ha scelto di sminuire la testimonianza di antisemitismo condivisa da una donna in sala: “Spiegatemi cos’è davvero questo antisemitismo!”
Momenti come questi mostrano quanto fragile possa risultare lo spazio pubblico per le comunità ebraiche, persino quando l’intento è celebrare cultura e conoscenza. Eppure, entrambi gli episodi sono stati affrontati con uno scambio rispettoso: i relatori, me compresa, hanno discusso con cortesia, fornendo fatti e offrendo prospettive che forse il pubblico non aveva mai considerato prima. In quell’interazione faccia a faccia ci siamo sentiti tutti riconosciuti e validati. È stata una sensazione positiva.
Ecco cos’è la polarizzazione: restringe la nostra visione fino a forzare ogni conversazione attraverso la lente della divisione. E noi stessi replichiamo queste dinamiche in tanti ambiti della vita. Online e offline, ci rinchiudiamo in casse di risonanza, perdendo occasioni per connetterci, ascoltare, tendere davvero la mano per incontrare la complessità della persona accanto a noi. Più siamo polarizzati, più diventa difficile comprenderci a vicenda, e più facile diventa per la disinformazione prosperare.
A un certo punto, un anziano della comunità mi ha mostrato con orgoglio gli insulti ricevuti su Facebook e i suoi botta e risposta con l’“odiatore” di turno. Era animato, persino soddisfatto della qualità delle sue argomentazioni. Ma non potevo fare a meno di pensare: se spendiamo così tante energie a discutere con odiatori sconosciuti sui social, chi resta fuori a parlare con le persone reali? Non sarebbe forse un uso migliore del nostro tempo coltivare il dialogo di persona, riportando al centro del nostro lavoro le persone perbene che vogliono migliorare il mondo intorno a loro?
Alla fine, ciò che è rimasto di più tangibile della giornata, è stato l’amore e la dedizione degli organizzatori. L’amore per i libri, testimonianza viva dell’impegno ebraico nello studio. L’amore per la memoria, per la trasmissione, per un dialogo che insiste nel sopravvivere anche quando è difficile.
Forse la lezione più profonda da portare a casa è questa: ricominciare da quell’amore. Lasciarci guidare da esso. In tempi turbolenti come i nostri, in cui disinformazione e polarizzazione prosperano, abbiamo bisogno di nuove forme di alleanza, di partnership inattese e del coraggio di immaginare strade diverse per prepararci a ciò che ci attende.
[1] https://commission.europa.eu/topics/countering-information-manipulation_en
[2] https://open.spotify.com/episode/4Kq6VGmqrIlYEO7O0yGUj9?si=P8gMdkhISQm9BoXXHN754g&nd=1&dlsi=a2ac164b80384f72
[3] https://www.premioestense.com/2025/01/27/luomo-e-il-mare-storia-di-un-sub-ucciso-da-uno-squalo-e-dei-tentativi-falliti-di-ucciderlo-ancora/
[4] Gli psicologi chiamano questo fenomeno “bias della negatività”: le informazioni negative hanno un impatto molto più forte sul nostro cervello rispetto a quelle positive, al punto che servono circa cinque esperienze positive per controbilanciare il peso di una sola esperienza negativa (Baumeister et al., 2001).
[5] https://www.worldjewishcongress.org/en/fighting-hate-with-facts
[6] https://www.youtube.com/watch?v=sWLimSvxMq0
[7] No, non sto certo mettendo link ai siti dei complottisti e alle loro pagine social! Suggerisco invece di dare un’occhiata alla bellissima raccolta di buone pratiche per contrastare l’antisemitismo e promuovere la vita ebraica curata dal progetto NOA: https://www.noa-project.eu/project/#
[8] https://www.livornotour.com/senza-categoria-en/livorno-ancient-city-of-nations.php?lang=en

Tehilim (Libro dei Salmi) pubblicato a Livorno dall’editore Gentilomo, 1838

